Un viaggio tra i pastori mundari del Sud Sudan, in un angolo di Africa dove il tempo si è fermato

Mundari, il popolo dimenticato

Di Giulio Montini

La mia avventura inizia i primi giorni di marzo del 2023. Fin da subito, all’atterraggio all’ae-roporto di Giuba, mi rendo conto di essere dav-vero in una zona dell’Africa ancora autentica e poco toccata dal turismo. La prima sensazione appena sceso dal bielica, mentre attraverso a piedi la pista per raggiungere il primo posto di blocco, è quella di un caldo umido e soffocante. Il primo pensiero, più che altro una speranza, è stato: “ma non sarà mica così tutti i giorni?”. In effetti si, sarà così tutti i giorni. Ma ci si abitua, e dopo poco tempo anche questo caldo opprimente rientrerà nella normalità quotidiana. La prima difficoltà la incontro all’interno di una baracca, gremita di gente che si accalca intorno ad un’unica mensola dove è possibile appoggiarsi per la compilazione dei complicati moduli medico- sanitari. La vaccinazione per la febbre gialla qui è obbligatoria, ed è necessario mostrare il cartellino che la attesta. Si passa poi al controllo dei passaporti e alla presentazione dei visti, nella postazione di un poliziotto davvero fatiscente. In questi momenti c’è sempre un po’ di tensione, ma per fortuna fila tutto liscio e posso proseguire oltre. L’incombenza successiva è il ritiro dei bagagli, che dal controllo passaporti dista esattamente 5 metri. Più che in un aeroporto, sembra di essere in un mercato, dove la gente si muove con frenesia e tutti urlano senza che si capisca una parola. Mentre con pazienza si aspetta la valigia bisogna espletare un altro controllo, quello sull’attrezzatura fotografica. Prima di partire si devepresentare all’agenzia tutto l’elenco dell’attrezzatura fotografica, con tanto di marca, modello della fotocamera, focale degli obiettivi e ogni altra minuziosa informazione. Ogni viaggiatore in pos-sesso di tale attrezzatura viene fatto en-trare in un piccolo sgabuzzino dove un addetto, coadiuvato da due assistenti, ti apre lo zaino fotografico ed inizia a con-trollarne il contenuto. In suo possesso c’è l’elenco di ciò che è stato dichiarato e na-turalmente il tutto deve coincidere. Pas-sato anche questo step, finalmente rivedo la mia valigia e penso “dai che si par-te…”. E invece no. Altri addetti sbucati del nulla mi fermano e mi fanno aprire nuovamente il bagaglio. Ci rovistano for-sennatamente dentro, alla ricerca di chis-sà cosa, ed io che avevo sistemato tutto con maniacale cura prima di partire mi ritrovo a chiudere alla rinfusa la valigia. Finalmente riesco ad uscire. Adesso si parte davvero…

 

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